Storia e utopia by Emil Cioran

Storia e utopia by Emil Cioran

autore:Emil Cioran [Cioran, Emil]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: archivio ladri di biblioteche
pubblicato: 2014-06-17T22:00:00+00:00


V - MECCANISMO DELL'UTOPIA

Qualunque sia la grande città dove il caso mi porta, mi meraviglio che non vi si scatenino tutti i giorni sommosse, massacri, una carneficina inaudita, un disordine da fine del mondo. Come possono coesistere tanti uomini in uno spazio così ridotto, senza distruggersi, senza odiarsi mortalmente? Per la verità si odiano, ma non sono all'altezza del loro odio. Questa mediocrità, questa impotenza salva la società, ne assicura la durata e la stabilità. Di tanto in tanto vi si produce qualche scossa di cui i nostri istinti approfittano; poi, continuiamo a guardarci negli occhi come se nulla fosse accaduto e a coabitare senza sbranarci troppo manifestamente. Tutto rientra nell'ordine, nella calma della ferocia, altrettanto temibile, in ultima istanza, del caos che l'aveva interrotta.

Ma mi meraviglio ancora di più che, essendo la società quella che è, qualcuno si sia sforzato di concepirne un'altra, del tutto diversa. Da dove può provenire tanta ingenuità, o tanta follia? La domanda sarà normale e banale quanto si vuole, ma la curiosità che mi ha indotto a porla ha, in compenso, la scusa di essere malsana.

In cerca di nuove prove, e proprio nel momento in cui disperavo di trovarne, ebbi l'idea di buttarmi sulla letteratura utopistica, di consultarne i « capolavori », di impregnarmene, di crogiolarmi in essi. Con mia grande soddisfazione, trovai di che saziare il mio desiderio di penitenza, il mio appetito di mortificazione. Quale pacchia passare alcuni mesi a censire i sogni di un avvenire migliore, di una società « ideale », a consumare l'illeggibile! Aggiungo subito che questa letteratura ributtante è ricca di insegnamenti e che, a frequentarla, non si perde del tutto il proprio tempo. Vi si distingue fin dal principio il ruolo (fecondo o funesto, come meglio piace) che svolge, nella genesi degli avvenimenti, non la felicità, ma l'idea di felicità, idea che spiega come mai, dato che l'età del ferro è coestensiva alla storia, ogni epoca si metta a divagare sull'età dell'oro. Se si mettesse termine a queste divagazioni, ne seguirebbe una stasi totale. Agiamo soltanto sotto il fascino dell'impossibile: quanto dire che una società incapace di generare un'utopia e di votarvisi è minacciata di sclerosi e di rovina. La saggezza, che nulla affascina, raccomanda la felicità data, esistente; l'uomo la rifiuta, e soltanto questo rifiuto ne fa un animale storico, voglio dire un amatore di felicità immaginata.

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« Presto sarà la fine di tutto; e vi saranno un nuovo cielo e una nuova terra », leggiamo nell'Apocalisse. Eliminate il cielo, conservate soltanto la « nuova terra » e avrete il segreto e la formula dei sistemi utopistici; per maggior precisione, bisognerebbe forse sostituire « città » a « terra », ma è solo un particolare; ciò che conta è la prospettiva di un nuovo avvento, la febbre di un'attesa essenziale, parusia degradata, modernizzata, da cui nascono questi sistemi, così cari ai diseredati. La miseria è effettivamente il grande ausilio dell'utopista, la materia su cui lavora, la sostanza di cui nutre i suoi pensieri, la provvidenza delle sue ossessioni.



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